A dispetto dello stereotipo secondo cui gli ebrei sarebbero deboli e cerebrali, il pugilato e’ uno degli sport in cui gli ebrei inglesi eccellono letteralmente da secoli. Un signore che conosco, sui quarant’anni, ha una certa serie di vittorie al suo attivo. Ogni tanto tira ancora, anche se non gareggia piu’. Mi racconta che gli sono capitati avversari che sul ring cercavano di capire se lui veramente avesse la coda, saltellandogli intorno. In realta’ ha un buon uppercut, che ha sempre risolto i problemi di antisemitismo. Ma la storia e’ questa: nel ventunesimo secolo, nell’Inghilterra civilizzata, c’e’ gente, figli e nipoti della leggendaria working class britannica, convinta che gli ebrei abbiano la coda.
Un sacerdote cattolico, che dopo l’Otto Settembre 1943 ha fatto nascondere famiglie intere nei conventi e nei seminari, rischiando moltissimo di persona, racconta ancora adesso che era difficile e rischioso “perche’ sa, gli ebrei si riconoscono. Si riconoscono da come camminano, gli ebrei camminano con i piedi puntati all’indentro”. Non e’ antisemita, e’ una gran brava persona, ha salvato delle vite di gente perseguitata. Ma e’ convinto che gli ebrei siano esseri umani deformi.
Una studentessa bengalese, cresciuta in una famiglia mediamente osservante, con un padre laureato, insomma il famoso Islam moderato, mi dice che nel suo ambiente familiare e’ cosa risaputa che gli ebrei impiegano sangue di bambino per i loro riti religiosi. Le dico sarcastico e sconsolato “E io che credevo che la guerra a Gaza fosse stata fatta per ragioni difensive. Si scoprirà che invece agli israeliani servivano cadaveri per le feste. E magari è questa la ragione per cui Israele rifiuta la pace, ed Hamas è così benintenzionata” Mi guarda in silenzio, gli occhi nerissimi. Annuisce: “Sì, Rabbi, questo è quel che si dice nelle moschee; questa e’ la ragione per cui si è fatta la guerra a Gaza. Agli ebrei serviva il sangue dei bambini”
Primi anni Novanta. L’ennesimo futile dibbattito sul Medio Oriente. Ci sono “palestinesi” che sono in realtà, gente nata in Italia, con passaporto giordano. A fare la parte dell’ebreo pulito e presentabile, c’è il povero Guido Valabrega. Un antesignano di Moni Ovadia, una star di quel genre di ambiente. Uno dei “palestinesi”, saputo che sono ebreo, inizia a spiegarmi che lui non ha nulla, proprio niente, contro gli ebrei. È la linea, i comprimari di Valabrega iniziano sempre così. Però, l’ebraismo… La linea si confonde. L’ebraismo cosa?
L’ebraismo cosa? chiede infatti uno dei radicali che è venuto con me (“se vogliono fare a botte li facciamo diventare famosi”, ha sorriso il giorno prima). L’ebraismo, dice il giordano italiano autodenominatisi palestinese … e fa gesti vaghi, simili a quelli di quando si mima un furto. No, spiega -ribatte quello radicale- cosa c’è di cattivo nell’ebraismo” E l’altro continua a pappagallo, “non ho niente contro gli ebrei, non ho niente contro gli ebrei, non ho niente…” Abbiamo capito, gli dico, ma quale è il problema con l’ebraismo. Chiama in aiuto il suo superiore, alza la voce che l’ebraismo è viulentu e rassista. Valabrega ha una espressione preoccupata, mentre il giordano spiega concitato che nella Palestina liberata arabi ed ebrei “potranno vivere in pasce basta che gli ebrei non insegnano più l’ebraismo ai loro figli”.
Lo circondano amici compagni e concittadini, tutti italiani, qualcuno di origine mediorientale, altri romani, tutti consapevoli che è stata infilata una figuraccia di proporzioni, è il caso di dire, bibliche. Qualche altro radicale insiste che vuole sapere cosa ci sarebbe di male nell’ebraismo.
I “neutrali” -che in quel periodo si parlava agli avversari per convincere i “neutrali”- comprendono che ‘sta storia della Palestina occupata da cinquant’anni e’ un po’ piu’ complicata di quel che sembrava, una femminista vuole che qualcuno le spieghi cosa c’entra l’ebraismo, un paio di fricchettoni sprovvisti di kefya mormorrano “e pero’ pure i musulmani, in India…” Un palestinese con accento romano (i famosi palestinesi di Trastevere) dice che sti raddicali, so stronzi, sa pijano con lui che’ e’ nprofugo e io chiedo al profugo come si chiama. “Giacobo” dice lui sghignazzando. Senti Giacobo, me lo spieghi cosa c’e’ di male nell’ebraismo. “Tu lo sai -dice – e non lo riveli che e’ un segreto”.
Pingback: Leonardo T. e l’amico immaginario (altrui) | allegrofurioso
Se è un segreto è un segreto!
Secondo me, se sei un’autorità della Religione dei Poveri e degli Umili, aiutare uno che cammina con le punte dei piedi convergenti (come un tragico clown, insomma) è più facile che dare una mano ad un fiero atleta. A meno che quest’ultimo non abbia la coda, beninteso: anzi, un glabro codino da topo.