Credevo che il punto più basso lo avessero raggiunto i cattocom alla Tondelli, che un paio di mesi fa, quando Pannella era in punto di morte, ha riscritto la storia riciclando la vecchia calunnia dei radicali irrilevanti.
Ma stamattina, ho letto sul manifesto, il necrologio firmato da Luciana Castellina. Riconosce a Pannella di aver fatto molto, moltissimo, per i diritti delle donne, fin da quando era una battaglia impopolare a sinistra come (ovviamente) al centro ed a destra. E non perde l’occasione per mettere Israele sullo stesso piano del Sudafrica dell’apartheid.
Eh già. Che gran forza, dire ad un morto “ma tanto avevo ragione io”, ripetendo le falsità della propaganda stalinista. Che miseria, davvero. Vien da dirgli “Ma vai a fare la femminista in Palestina, vai”.
Sono stato nel Partito Comunista Italiano. Ho incontrato gente meravigliosa. Purtroppo, ho incontrato anche molti Leonardo Tondelli e troppe Luciana Castellina. Sono quelli che nel Partito sono rimasti, e hanno fatto carriera. Quelli che si compiacciono di essere parte di una massa, e quelli che giocano al Risiko astratto della politica internazionale anche quando si tratta di questioni concrete e di diritti individuali. E poi il Partito è finito, e secondo me non è un caso. Marco Pannella ha avuto il merito di mostrare a me, e a tanti altri italiani, che si poteva fare politica in altro modo, rivendicando il diritto alla felicità individuale, che è una cosa serissima e che sta persino nella Costituzione americana.
Nei mesi dell’ultima guerra di Gaza, ad un certo punto ho deciso di fermare tutte le attività della mia sinagoga, a parte quelle di culto. Non facevo più lezioni. Avevamo invece trasformato le lezioni in momenti intitolati “Israele per me”. Ho parlato pochissimo, che per un rabbino è difficile. Piuttosto, ho lasciato che fossero gli altri a parlare ed a raccontare. Racontare come era difficile spiegare ad amici, conoscenti e parenti non ebrei come ci si sentiva in quel momento. Parlare delle amicizie finite quando scoprivi i pregiudizi del collega sul posto di lavoro o della signora con cui giochi a bridge due volte alla settimana. C’era solo una regola, in “Israele per me”. Non giudicare, non giudicare mai. Il mio compito era ricordarla, ma non lo ho dovuto fare molte volte. E’ stato un successo, la abbiamo ripetuta diverse volte.
Nel periodo della guerra di Gaza, “Israele per me” è stata la cosa migliore che ho combinato, e ne vado orgoglioso (non solo perché ci ha guadagnato qualche nuovo membro, che non ne poteva più di sentire calunniare il sionismo anche in una sinagoga: succede, in Inghilterra). E l’idea mi era venuta pensando al mio passato da radicale, a quell’inalienabile diritto alla ricerca della felicità e all’altra frase pannelliana “Ci sono troppe cose belle che possiamo fare con i nostri avversari prima che diventino dei nemici”. che gli ha permesso di mettere insieme una Armata Brancaleone con ebrei, valdesi, mafiosi, puttane, carcerati, fascisti, capelloni, nonviolenti, atei, drogati, grandi intellettuali, nazionalisti croati ed albanesi, Cattivi Maestri, funzionari del PSDI, berlusconiani assortiti, persino una pornostar.
Guardate in che modo tutti lo ricordano: raccontando la propria relazione personale, prima che politica, il pezzo di strada percorso assieme prima di litigare e tornare ognuno al proprio percorso (fallimentare, quello della Castellina. Anche se lei si sforza di raccontare il contrario; e magari ci crede anche).
Trenta anni fa, Marco Pannella era l’unico a giocare sul confine tra personale e politico, in questa sua maniera istrionica, laica e spietata. Ora lo fanno tutti e ci riescono parecchio meno bene di lui. Adesso gli italiani non accettano più un politico che non parli di sé e sono pure crudeli con quei politici che mentono sul proprio privato. Pensate a come era paludata la comunicazione politica nell’epoca della Prima Repubblica, quando omosessuale era soprattutto un insulto, quando le masse avevano ragione a prescindere, e quando il divorzio era una conquista recente, resa ancora difficile dalla imposizione di un periodo lunghissimo di “separazione”, per il lucro degli avvocati e perché in un Paese cattolico bisogna salvare il matrimonio e ci si sposa una volta sola, lei ovviamente vergine in abito bianco.
Pensate a quell’Italia dalla politica patriarcale. A quella ipocrisia mascherata da sistemi filosofici, in cui “riformismo” significava un piano regolatore che accontentasse gli appetiti di tutti e “radici cattoliche” erano le violenze familiari. Certo che la corruzione nella vita pubblica e la violenza in quella privata esistono ancora, in Italia: peraltro i radicali, noi radicali, non abbiamo mai coltivato l’illusione di un mondo che ne fosse totalmente privo. Ma adesso gli italiani chiamano queste ed altre piaghe con il loro vero nome.
E poi ditemi se Marco Pannella non ha cambiato la storia.